Muffe in un cartone: perché si formano e quali fattori le favoriscono

Le muffe che troviamo sui prodotti in un cartone non compaiono per caso: hanno bisogno di precise condizioni per crescere, e il cartone, per la sua natura, rappresenta spesso l’ambiente ideale. Gli ingredienti fondamentali sono sempre gli stessi: spore (presenti ovunque nell’aria), acqua disponibile, una temperatura favorevole, nutrienti e tempo. Il cartone, quando assorbe umidità o trattiene condensa, offre proprio quel mix di fattori che permette alle muffe di svilupparsi, grazie anche alla presenza di amidi e cellulosa che diventano un’ottima fonte di nutrimento.

Il primo elemento da considerare è l’umidità. In microbiologia si parla di “water activity” (aw), ossia quanta acqua è effettivamente disponibile sulla superficie di un materiale. La maggior parte delle muffe comuni ha bisogno di un aw superiore a 0,80 per iniziare a crescere, ma esistono specie più resistenti che si accontentano anche di valori attorno a 0,65–0,70. Per il cartone, materiale poroso e igroscopico, questo significa che basta un’umidità relativa (UR) che resti attorno all’80% per qualche giorno perché il rischio diventi concreto. Non conta solo l’umidità dell’aria: se una scatola fredda incontra un ambiente caldo e umido, o se si verificano cicli termici tipici di container e magazzini, il vapore si trasforma facilmente in condensa. L’acqua che si deposita in forma di film sulla superficie o che viene assorbita dalle fibre del cartone è esattamente ciò che serve alle spore per germinare.

La temperatura è l’altro grande alleato delle muffe. Esse crescono bene in un ampio intervallo, tra i 5 e i 45 °C, con un picco di velocità tra i 20 e i 35 °C. Temperature più basse rallentano ma non uccidono le spore, mentre oltre i 50–60 °C molte specie smettono di crescere pur continuando a sopravvivere. Ancora una volta, il problema è l’interazione con l’umidità: basta spostare una scatola dalla cella frigo a un magazzino più caldo e umido perché si formi condensa, oppure inserire un prodotto tiepido in un ambiente più freddo perché l’umidità del suo microclima precipiti sulle superfici interne. Non a caso, rotture della catena del freddo, aperture prolungate delle porte o semplici cicli giorno/notte in container possono trasformare il cartone in una spugna bagnata, pronta ad accogliere la crescita fungina.

Se acqua e temperatura predispongono l’ambiente, i nutrienti completano lo scenario. Nel cartone, le fibre di cellulosa e emicellulose, gli adesivi a base di amidi usati per unire le onde, e perfino gli additivi e le polveri depositate diventano una base perfetta per lo sviluppo di muffe come Aspergillus e Penicillium. Se poi all’interno della scatola ci sono prodotti che rilasciano umidità – frutta, verdura, alimenti freschi appena lavati o raffreddati – l’ambiente si arricchisce ulteriormente. Anche piccole tracce organiche, residui di zuccheri, proteine o polvere alimentare bastano a fornire il “cibo” necessario, soprattutto quando le fibre sono già impregnate d’acqua.

Il ciclo è sempre lo stesso: le spore si depositano naturalmente, trasportate dall’aria o già presenti lungo la filiera; il cartone trattiene l’umidità e raggiunge livelli critici di UR; le spore, trovando condizioni adatte, germinano; infine le ife colonizzano fibre e adesivi, producendo nuove spore e rendendo visibili macchie e odori caratteristici.

Per ridurre questo rischio esistono accorgimenti pratici: controllare umidità e temperatura negli ambienti di stoccaggio, mantenendo l’UR sotto il 60% quando possibile; ridurre gli sbalzi termici; evitare la formazione di condensa con una corretta gestione dei flussi d’aria e delle soste a porte aperte; utilizzare barriere vapore, fodere o coperte termiche o Sali essiccanti; scegliere cartoni puliti e asciutti, con collanti a basso contenuto di amidi liberi; e, quando compatibile con il prodotto, favorire la ventilazione interna delle scatole. Anche il tempo gioca un ruolo importante: più a lungo un cartone rimane in condizioni critiche, maggiore sarà la probabilità che le muffe si sviluppino.

In definitiva, la muffa in un cartone non è un imprevisto misterioso, ma la conseguenza diretta dell’incontro tra umidità, temperatura, nutrienti e tempo. Capire come questi fattori si combinano è il primo passo per prevenirla in modo efficace.

Esempio pratico relativo al trasporto del vino

Immagina una spedizione di bottiglie di vino rosso destinate a un importatore estero. Le bottiglie sono confezionate in cartoni ondulati con alveari interni in cartoncino, pensati per separare e proteggere le singole bottiglie. Dopo l’imbottigliamento, le bottiglie non vengono lasciate abbastanza a lungo in cantina per stabilizzare la temperatura: partono dal magazzino di produzione a circa 16 °C, mentre i cartoni erano stoccati in un deposito più caldo, intorno ai 28 °C, durante un periodo estivo.

Il carico viene inserito in un container standard e non refrigerato. Durante il trasporto marittimo, la nave attraversa zone climatiche molto diverse: di giorno, in pieno sole, la temperatura interna del container può superare i 40 °C, mentre di notte scende notevolmente. Questi cicli termici generano ripetuti episodi di condensa: le pareti fredde del container di notte rilasciano acqua che può perfino “gocciolare” sulle scatole (il fenomeno noto come container rain). Il cartone, poroso e igroscopico, assorbe questa umidità, e le fibre interne si impregnano.

Le bottiglie stesse, con il loro contenuto, contribuiscono ad alimentare il microclima. Piccoli residui organici di vino (gocce attorno al collo, qualche trafilatura dal tappo) si combinano con la condensa e diventano nutrienti per le spore fungine già presenti nell’ambiente. Anche la colla degli alveari interni, a base di amidi, è un terreno ottimale quando resta bagnata. Dopo un paio di settimane di viaggio, al momento dello sbarco, alcune confezioni mostrano i primi segni di muffa: aloni scuri negli angoli interni dei cartoni, odore caratteristico e, nei casi peggiori, macchie visibili sugli alveari a contatto con le bottiglie.

Il problema non è soltanto estetico: anche se il vino in sé non è compromesso, la presentazione commerciale è seriamente danneggiata. Per un prodotto come il vino, dove il packaging è parte integrante dell’immagine e del valore percepito, una cassa macchiata di muffa può significare la perdita immediata di vendibilità.

Questo esempio mette in luce i rischi tipici del trasporto marittimo per il vino: oscillazioni termiche, condensa ricorrente, cartoni che trattengono l’umidità e residui organici minimi che, con il tempo, diventano sufficienti a innescare la crescita delle muffe.

Anche in questo caso, una soluzione contro l’umidità possono essere fodere e coperte termiche e sali essiccanti per scatole e container.

nave cargo

DANNI DA UMIDITÀ NELLE SPEDIZIONI: UN PROBLEMA DA NON SOTTOVALUTARE

Il commercio mondiale si affida fortemente al trasporto marittimo, come evidenziato dalla International Chamber of Shipping. Il trasporto marittimo è incaricato del trasferimento di circa il 90% dei beni globali. Tra questi, il trasporto in container prevale con una percentuale del 60%.

Vi sono, tuttavia, rischi notevoli nella conservazione e nel trasporto delle merci via mare. Uno dei principali è il danno da umidità, che minaccia i prodotti stoccati nei container o durante il viaggio. Trade Risk Guaranty rileva che il 10% delle spedizioni in container sono compromesse da danni legati all'umidità.

Ciò comporta che il 5% del commercio mondiale subisca perdite finanziarie a causa di danni da umidità durante il trasporto, con una conseguente perdita monetaria significativa, inclusa la perdita fisica di merci negli oceani. La copertura assicurativa per tali perdite è, sfortunatamente, rara.

Esploriamo in profondità la questione dei danni da umidità, un iceberg sommerso che minaccia il commercio globale, e scopriamo come una gestione efficace dell'umidità possa proteggere le spedizioni, garantendo la sicurezza finanziaria e preservando lo stato ottimale del carico prezioso.

Si potrebbe credere che l'infiltrazione di acqua marina in un container sia la causa principale dei danni da umidità. In realtà, questo è un fattore secondario. La vera minaccia è già all'interno del container: l'umidità presente nell'aria e nelle merci.

Variazioni di temperatura e umidità possono trasformare l'umidità in liquido, il quale può causare muffa, corrosione e altri danni materiali. Eccessive quantità di umidità possono portare al deterioramento degli alimenti, a guasti elettronici o al decadimento dei materiali da costruzione. Inoltre, la sola presenza di cattivi odori, anche in assenza di danni fisici, può essere sufficiente per il rifiuto di una spedizione. Il primo passo per tutelare le merci containerizzate è capire la natura e le cause dei danni da umidità.

L'acqua può essere dannosa in certe condizioni. L'umidità, sia come acqua liquida che come vapore, può danneggiare in vari modi le merci confinate in un container. In alcuni casi, basta poca umidità per provocare danni costosi. L’eccessiva umidità può causare il distacco delle etichette di imballaggio, complicando la manipolazione, l'ordinamento e la contabilizzazione delle scatole e dei loro contenuti.

danni da umidità container

Danni più gravi possono rendere le merci inutilizzabili. Materiali organici di qualsiasi tipo sono suscettibili a muffe e funghi. Da prodotti in legno a cibo a tessuti, l'umidità eccessiva favorisce lo sviluppo di funghi, in particolar modo in climi caldi.

Merci asciutte, come polveri o gusci, possono aggregarsi o compattarsi. Anche prodotti organici senza segni visibili di danni possono sviluppare odori sgradevoli.

Corrosione e ruggine possono danneggiare beni manifatturati, molti dei quali contengono componenti metallici. I danni possono essere estetici, come l'annerimento o la decolorazione del metallo, o più gravi, portando alla deformazione o al deterioramento del metallo stesso.

Il legno può deformarsi e indebolirsi per eccesso di umidità. Il rischio di danni non riguarda solamente il carico in sé, ma anche i materiali usati per il confezionamento e la protezione dei beni, che sono tipicamente a base di legno.

Immaginatevi scatole inzuppate in un garage dopo un temporale o un'inondazione: perdono robustezza e cedono, lasciando vulnerabile il contenuto a ulteriori danneggiamenti oltre all'umidità.

Le travi e rinforzi di legno, spesso utilizzati per stabilizzare merci fragili durante il trasporto, se compromessi dall'umidità, possono causare spostamenti e rotture dei beni. I rischi si estendono ai prodotti impilati su pallet di legno.

Il legno è presente anche nei materiali di imbottitura all'interno dei container, sia nei materiali morbidi che proteggono i cartoni sia all'interno degli stessi. Questi assorbono l'umidità, anche sotto forma di vapore. In base alle condizioni all'interno del container, tali materiali potrebbero non asciugarsi mai del tutto.

Valutando il rischio di danni da umidità per una spedizione, è essenziale considerare i rischi sia diretti che indiretti sul carico a causa dell'umidità presente nei materiali usati per l'imballaggio e la protezione.

Per comprendere l'entità dei danni che l'umidità in eccesso può causare all'interno di un container, è fondamentale considerare il comportamento dell'umidità stessa.

I container dovrebbero essere impermeabili, ma non ermetici. Ecco la distinzione critica:

Un container impermeabile salvaguarda il suo contenuto da spruzzi e pioggia, danni che possono verificarsi se il container non è stato sigillato correttamente. Un'ispezione accurata prima e dopo il carico può prevenire danni da fonti esterne d'acqua.

Il vero problema è il vapore umido nell'aria e nelle merci all'interno del container, che, data la non perfetta ermeticità del container, causa fluttuazioni di temperatura e RH (umidità relativa) interne. Questi cambiamenti sono i principali responsabili dei danni da umidità.

Variazioni nella RH di carico e aria possono causare fenomeni come la "pioggia nel container" e la "traspirazione del carico". Tali fenomeni si manifestano quando l'umidità già presente nel container viene attivata dai cambiamenti ambientali.

Per prevenire danni da umidità, occorre comprendere come l'umidità entra in un container. L'acqua può infiltrarsi attraverso:

- Spruzzi e pioggia

- Asciugatura non completa dopo la pulizia del container

- Introduzione accidentale durante il carico, come da stivali bagnati dei lavoratori

- Trasporto di prodotti agricoli imballati in ghiaccio o altri refrigeranti

La maggior parte dell'umidità interna si presenta sotto forma di vapore, che entra attraverso:

- Il legno usato per l'imballaggio o il supporto delle merci, come pallet e travi. Il legno naturalmente contiene umidità e alti livelli di essa aumentano il rischio di danni da umidità.

- Le merci trasportate, molte delle quali intrappolano umidità. Materiali organici, prodotti di carta e materiali da costruzione come piastrelle o cornici sono esempi.

- Umidità alta all'atto del carico, specie in porti umidi senza dock di carico climatizzati.

La "respirazione" del container, il movimento dell'aria tra interno ed esterno, può portare a un ulteriore ingresso di vapore umido durante il viaggio, specialmente con il cambiamento delle temperature.

Quando il container si raffredda e si riscalda, l'aria si muove portando con sé vapore umido e causando cambiamenti nella RH. Questo processo è amplificato dai cambi di clima durante la traversata.

Un RH superiore al 60 o 70% può iniziare a causare danni. La crescita di muffe può iniziare con un RH dell'80%, mentre alcuni metalli possono iniziare a corrodere con un RH del 70%.

Per mitigare i danni da umidità, è essenziale adottare misure preventive prima che il container sia sigillato.

La ventilazione del container può ridurre il fenomeno della pioggia interna, fornendo un'uscita per l'umidità accumulata. Rivestimenti o fodere possono impedire l'accumulo di umidità sulle superfici del container.

fodera-termica

Possono essere installati anche dispositivi di controllo dell'umidità all'interno del container, come deumidificatori o sali disidratanti: dispositivi assorbi umidità inseriti nelle scanalature dei container. Questi contengono sali igroscopici che assorbono l'umidità e la imprigionano creando un gel a base di amido.

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La modalità e il luogo di stoccaggio delle merci prima del carico influenzano la quantità di umidità che introdurranno nel container. Per esempio, pallet di legno esposti all'esterno assorbiranno umidità dall'aria circostante. Pertanto, è prudente misurare il contenuto di umidità del legno prima del carico per garantire che non superi il 15%, sopra il quale aumenta il rischio di crescita di muffe.

I datalogger sono strumenti preziosi che, pur non prevenendo i danni da umidità, registrano le condizioni ambientali all'interno del container durante il viaggio, fornendo informazioni utili per comprendere come si siano verificati tali danni.

La documentazione fornita dai datalogger può essere confrontata con i dati meteorologici e i log di spedizione per costruire un quadro dettagliato degli eventi, utile per risolvere questioni legate alla responsabilità assicurativa.

datalogger

È cruciale prendere sul serio la questione dell'umidità perché molti danni correlati non sono coperti dalle polizze assicurative tradizionali, che escludono rischi prevedibili e mitigabili come la condensa.

La responsabilità per i costi associati ai danni da umidità ricade quasi esclusivamente sul proprietario dei beni trasportati, pertanto è imperativo che gli spedizionieri adottino misure di prevenzione efficaci.

Un'azienda che implementa strategie di controllo dell'umidità si pone in una posizione di vantaggio competitivo, riducendo le perdite medie per spedizione e offrendo prezzi più competitivi rispetto a coloro che devono riflettere tali perdite nei prezzi al dettaglio.

In sintesi, una gestione accurata dell'umidità nei container non solo protegge il carico, ma sostiene anche la sostenibilità finanziaria e la fiducia dei clienti, consentendo alle aziende di operare con maggiore efficienza e affidabilità.

grafico-assorbimento-disseccanti

Capacità di assorbimento dei sali igroscopici a base di cloruro di calcio e amido

Come vengono misurate le performance di assorbimento dei sali igroscopici a gel? Ecco alcuni dati interessanti delle misurazioni effettuate in un’apposita camera a temperatura ed umidità controllate.

AbsorGel® è sviluppato per catturare il vapore acqueo e legarlo in un gel, che non cola. Contiene CaCl₂ (cloruro di calcio) per l’assorbimento e un amido modificato per gelificare l’acqua.

Absortech fornisce la seguente dichiarazione di assorbimento:
In condizioni reali AbsorGel® assorbe fino al 250% del suo peso: 1 kg AbsorGel® assorbe 2,5 litri di acqua.
Nella camera climatica AbsorGel® può assorbire il 400% e oltre.
• Tipicamente, AbsorGel® assorbe circa 8-12 volte di più del peso equivalente di argilla e gel di silice.

grafico-assorbimento-disseccanti

Prestazioni di AbsorGel® rispetto all’argilla/gel di silice nella camera climatica.
• AbsorGel® assorbe il 325% con prestazioni di circa 13 volte maggiori rispetto all’argilla o al gel di silice.
• In condizioni reali le prestazioni medie sono fino al 250%. Test effettuato su vari tipi di merce in varie condizioni.

assorbimento sali essiccanti a gel

Prestazioni di CaCl2 puro in camera climatica.
• Il livello di RH% (umidità relativa) ha un impatto significativo.
• Assorbimento del 500% a RH costante 90%, 830% a RH costante 95%…
Questi livelli non saranno raggiunti in condizioni reali.

disseccanti contro ossidazione

Sali igroscopici per metalli, una valida alternativa all’uso dei VCI anticorrosione nell’export di ricambi auto. Più efficaci, economici ed ecologici.

sali igroscopici per metalli, una valida alternativa all’uso dei VCI anticorrosione nell’export di ricambi auto. Più efficaci, economici ed ecologici.

Il mercato mondiale del settore automotive nel mondo ha generato 330 miliardi di Euro nel 2019, lItalia, che si piazza in ottava posizione, ha generato un export pari a 21,97 miliardi di Euro.

Per preservare i materiali da eventuali danni da corrosione, vengono utilizzate metodologie di packaging che spesso consistono in cartone, plastica, silica gel o argilla e VCI (dall’inglese Volatile Corrosion Inhibitor) come olii protettivi o carta trattata chimicamente.

Malgrado l’uso di parecchi materiali per l’imballo, il danno da corrosione colpisce ogni anno dall’1 al 5% del valore delle merci, una cifra considerevole.

Il processo corrosivo si innesca nel momento in cui l’aria presente all’interno della confezione, a causa di un repentino cambio di temperatura, condensa e precipita sotto forma di acqua. L’acqua si deposita sulla parte metallica e ne causa la formazione di residui che tendono ad ossidare. Grazie al cartone si evitano eccessi di umidità, il cartone è un catalizzatore e tende ad attirare l’umidità; grazie ai disseccanti come silica o argilla, l’eccesso di umidità viene assorbito, grazie ai VCI si evita la corrosione; ultimo elemento la plastica, grazie ad essa si sigilla il prodotto evitando eventuale accesso di aria che può innescare il processo più volte durante il tragitto della merce.

La corrosione inizia quando la percentuale di umidità relativa raggiunge il 65%, grazie a tutti i dispositivi sopraccitati la si riesce a tenere al di sotto di tale percentuale, ma c’è un modo per tenere l’umidità relativa intorno al 20/30% per tutto il tragitto.

Absortech, leader mondiale nella produzione di sali igroscopici a base di cloruro di calcio ed amido, ha effettuato un test presso un suo cliente, esportatore di parti per auto, sostituendo cartone e VCI e misurandone l’efficienza tramite dei dispositivi elettronici durante tutto il tragitto della merce.

Il test è stato effettuato su differenti rotte con differenti tipologie di packaging, differenti modalità di trasporto e differenti transiti e soste. Il risultato finale è che, riducendo la quantità di cartone usata, eliminando i VCI ed utilizzando della plastica che isoli il prodotto assieme a dei sali essiccanti Absortech, è stato possibile mantenere una soglia elevatissima di sicurezza, in termini di umidità relativa pari al 20/30% su tutte le tipologie di test.

Grazie all’introduzione dei disseccanti molto efficienti della Absortech (assorbono umidità sotto forma di acqua fino al 250% del loro peso) è stato possibile ridurre notevolmente i costi e l’impatto sull’ambiente.

Nello specifico sono stati recuperati costi dal tempo di confezionamento, dalla rimozione dei VCI, dall’uso di film meno spessi pari ad un totale del 64%, ultimo fattore, non meno importante, molta meno spazzatura nell’ambiente.

In un momento storico in cui molte aziende si stanno impegnando per ridurre il loro impatto sull’ambiente, è ora di fare la nostra parte!

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Linee guida per un corretto riempimento dei container per il trasporto marittimo

Con la circolare n. 1497 del 16/12/2014, l’International Maritime Organization ha dettato le linee guida per il corretto riempimento dei container destinati al trasporto marittimo.

Alcuni punti sono estremamente importanti per evitare danni al carico, non solo a quello dentro il singolo container, ma addirittura quello che il singolo container, con una reazione a catena, potrebbe provocare all’intero carico della nave cargo.

La circolare di sofferma su alcuni punti importanti: le procedure corrette per bloccare le merci sul bancale che a loro volta vanno bloccati adeguatamente all’interno del container e l’inadeguatezza o l’assenza di sistemi di controllo dell’umidità nei container che può provocare il crollo del carico all’interno del container e pregiudicarne la stabilità.

Queste procedure sono fondamentali per evitare danni e di conseguenza incorrere in responsabilità per risarcimenti o lunghi e complessi processi per determinarle.

Ma chi è responsabile dei danni? Chiaramente il tipo di Incoterms a cui si fa riferimento durante la vendita, determina la responsabilità in capo al venditore, di seguito le tipologie:

Gruppo E: EXW (termine che individua le minori obbligazioni in campo al venditore)

Gruppo F: FCA – FAS – FOB (trasporto principale a carico del compratore)

Gruppo C: CPT – CIP – CFR – CIF (il venditore paga il trasporto ma il rischio è del compratore)

Gruppo D: DAP – DPU – DDP (il venditore consegna a destino. Trasporto e rischi a suo carico)

FISSAGGIO DELLE MERCI CON AIR BAG

Un corretto fissaggio delle merci può avvenire tramite l’intervento sulla stabilità delle confezioni sul bancale attraverso l’ausilio di dispositivi che evitano lo scivolamento delle stesse: collanti, interfalde antiscivolo, angolari. Successivamente si deve intervenire sulla stabilità dell’intero carico nel container bloccandoli con l’ausilio di cinghie, barre o air bag (dunnage bags: cuscini fermacarico gonfiati con aria).

L’allegato 4 della circolare 1497 è ricco di dettagli su come bloccare i bancali anche con l’uso di air bag. Da tenere in considerazione il tipo più adatto di air bag per effettuare una procedura corretta.

Esistono air bag di varie forme e dimensioni, rivestiti con materiali differenti: carta, PE, PP (rafia) e appartenenti a varie classi di livello.

Tipo di airbagLivello 1Livello 2Livello 3Livello 4
Portata max 20 tons34 tons72 tons92 tons
Pressione max0,2 bar0,35 bar0,55 bar0,68 bar
Tipo di trasportoCamion Intermodale
Nave cargo
Camion Intermodale
Nave cargo
Treno NaveTreno Nave

La differenza enorme nella portata massima è sempre il massimo spazio che devono colmare, chiaramente, maggiore è lo spazio da colmare maggiore è lo stress che subiscono le saldature dei materiali alle estremità dell’air bag, quindi un air bag di livello 1 della misura di 100cm per 120cm gonfiato per colmare uno spazio di 10cm ha una portata di 10 tonnellate, il doppio di quanto avrebbe un air bag di livello superiore, della stessa misura, ma gonfiato fino a colmare uno spazio di 45 cm.

La scelta del corretto air bag è determinata da fattori quali: peso e altezza dei bancali, tipologia di carico, tragitto, schema di carico.

Ci sono fattori da considerare nel tragitto, per esempio se la merce parte dall’Italia con destinazione Bogotà, l’altitudine modificherà la pressione dell’aria all’interno dell’air bag aumentandone la pressione all’arrivo, quindi meglio non gonfiarlo troppo. Un viaggio tra Italia e Russia in condizioni di estremo freddo, invece, può comportare un abbassamento della pressione, quindi meglio gonfiarlo un po’ di più.

Un discorso a parte meritano i materiali che costituiscono l’air bag. La carta che apparentemente può sembrare meno resistente è, in realtà, più resistente sia del Polietilene che del Polipropilene in quanto gode di una maggiore elasticità quando si tratta di carta di fibra nobile e non riciclata. Speciali trattamenti, inoltre, rendono la carta resistente all’acqua e antiscivolo, caratteristica questa di cui sono privi gli ari bag in PE e PP. Una volta posizionato un air bag in carta, anche se gonfiato poco, risulta difficile riposizionarlo per via delle sue enormi qualità antiscivolo che gli impediscono di essere sfilato dall’alloggiamento in cui è stato inserito.

Punto debole dell’Air bag sono sempre le saldature o cuciture alle estremità, e la saldatura della valvola. Un buon sistema di applicazione della valvola e una buona valvola non consentiranno mai all’air bag di sgonfiarsi durante il lungo viaggio che dovrà compiere, così come una corretta chiusura delle estremità.

Da dei test condotti da alcuni produttori si evince che gli air bag in carta, realizzati secondo degli standard di eccellenza, resistono a pressioni molto superiori rispetto agli air bag in plastica in generale: PE e PP.

SISTEMI DI CONTROLLO DELL’UMIDITA’

Nell’allegato 3 della circolare 1497, si vanno a dettagliare i danni provocati dall’umidità presente del container che, una volta raggiunto il punto di rugiada, diventa acqua e si deposita in tutti quei catalizzatori presenti nel container generando problemi di corrosione, muffa, putrefazione, fermentazione, rottura degli imballaggi di cartone, perdite, macchie, reazioni chimiche inclusi auto riscaldamento, gassificazione e autoaccensione. Generalmente è il carico stesso ad avere una carica di umidità variabile generata da rinforzi in legno, pallet, imballaggi porosi e umidità introdotti dall’imballaggio della merce nel container durante la pioggia o la neve o l’imballaggio in condizioni atmosferiche di elevata umidità e alta temperatura. È quindi della massima importanza controllare il contenuto di umidità del carico da imballare, tenendo conto dei prevedibili impatti climatici del trasporto previsto.

Un piccolo esempio può essere d’aiuto: Caricare la metà esatta del volume di un container da 20’ in una giornata di pioggia estiva con 20° ed un’umidità del 90%, può portare a generare un quarto di litro di acqua che si deposita sulla merce quando la temperatura scende a 18° all’interno del container, ma se la temperatura dentro il container dovesse aumentare fino a 30°, si arriverebbe ad avere quasi mezzo litro di acqua. L’alternanza del ciclo giorno/notte, i cambi di temperatura e di emisfero durante tutto il tragitto della merce, portano a continui processi di condensazione.

Grazie ai sali essiccanti o sali disidratanti è possibile fare in modo che l’acqua nell’aria vanga intrappolata interrompendo il processo.

Esistono differenti materiali assorbenti per l’umidità in eccesso: argilla, silica gel, cloruro di calcio, cloruro di calcio e amido. La loro capacità di assorbimento è la seguente:

Argilla: 20 % circa
Silica gel: 25% circa
Cloruro di calcio: 150% circa
Cloruro di calcio e amido: 250% circa

Come si può notare dalla percentuale di assorbimento dei vari tipi di disseccanti, cloruro di calcio mischiato ad amido è il migliore catalizzatore dell’umidità presente nell’aria; una volta catturata l’umidità, grazie al cloruro di calcio, essa viene tramutata in gel dell’amido.

Silica gel e argilla sono materiali porosi che tendono a loro volta, in alcune condizioni, a rilasciare l’umidità intrappolata precedentemente.

Per concludere vi raccomando di non dimenticare di chiudere le bocchette dell’areazione del container per evitare che ulteriore umidità possa entrare dall’esterno.

Disseccanti al alta efficienza

Cloruro di calcio e amido: la Formula1 dei sali essiccanti

In commercio esistono molte tipologie di sali essiccanti. Per sale essiccante o sale disidratante o disseccante che dir si voglia, si intende quel materiale le cui capacità igroscopiche consentono di assorbire l’umidità in eccesso all’interno di una confezione o un container.

Quelli più comuni sono la Silica Gel e l’argilla chiamata anche bentonite, questi due materiali sono tra i più economici, ma quando le condizioni ambientali mutano possono rilasciare l’umidità accumulata in un processo inverso non sempre benefico per le merci che dovrebbero preservare.

Vi sono invece alcuni elementi chimici che assorbono l’umidità cambiando stato da solido a liquido: Cloruro di calcio, solfato di calcio e ossido di calcio. Il loro funzionamento ricorda molto i deumidificatori di uso domestico il cui catalizzatore dell’umidità diventa liquido e viene raccolto in un’apposita vaschetta.

La domanda è: quale di questi svolge la sua funzione in maniera più efficiente?

A condizioni analoghe: 100gr di materiale a 25°C con cambi di stato di umidità relativa dal 10% fino al 100%, vi è un solo elemento in grado di assorbire fino al 250% del suo peso: il CLORURO DI CALCIO  E AMIDO. La sua capacità assorbente permette di avere, a fronte di 100gr di scaglie, al 100% di umidità relativa, la bellezza di 250gr di acqua.

Per una maggiore praticità d’uso e un rischio ridotto allo zero di versamenti di acqua, al cloruro di calcio viene aggiunta una certa quantità di amido, in questo modo, una volta tramutato in acqua, l’amido lo assorbe diventando un gel, proprio come i pannolini dei neonati.

Gli ambiti di applicazione dei sali disidratanti sono abbastanza variegati, si usano direttamente nel container o nelle confezioni per macchinari, elettronica, componenti automobilistici; merce di consumo, prodotti agricoli, sementi, cacao, caffè, tessuti e pelli, prodotti in legno, carta e cartone, vetro, plastica e metalli, mobili, indumenti, scarpe ecc ecc. In questo modo è possibile evitare danni alle merci come: muffe, alterazione organolettiche, alterazione degli involucri, delle confezioni, dei colori, ruggine e tutti gli altri danni derivanti da una lunga esposizione dei materiali all’umidità.

Per concludere si può considerare il cloruro di calcio (e amido) la Formula1 dei sali disidratanti.