nave cargo

Linee guida per un corretto riempimento dei container per il trasporto marittimo

Con la circolare n. 1497 del 16/12/2014, l’International Maritime Organization ha dettato le linee guida per il corretto riempimento dei container destinati al trasporto marittimo.

Alcuni punti sono estremamente importanti per evitare danni al carico, non solo a quello dentro il singolo container, ma addirittura quello che il singolo container, con una reazione a catena, potrebbe provocare all’intero carico della nave cargo.

La circolare di sofferma su alcuni punti importanti: le procedure corrette per bloccare le merci sul bancale che a loro volta vanno bloccati adeguatamente all’interno del container e l’inadeguatezza o l’assenza di sistemi di controllo dell’umidità nei container che può provocare il crollo del carico all’interno del container e pregiudicarne la stabilità.

Queste procedure sono fondamentali per evitare danni e di conseguenza incorrere in responsabilità per risarcimenti o lunghi e complessi processi per determinarle.

Ma chi è responsabile dei danni? Chiaramente il tipo di Incoterms a cui si fa riferimento durante la vendita, determina la responsabilità in capo al venditore, di seguito le tipologie:

Gruppo E: EXW (termine che individua le minori obbligazioni in campo al venditore)

Gruppo F: FCA – FAS – FOB (trasporto principale a carico del compratore)

Gruppo C: CPT – CIP – CFR – CIF (il venditore paga il trasporto ma il rischio è del compratore)

Gruppo D: DAP – DPU – DDP (il venditore consegna a destino. Trasporto e rischi a suo carico)

FISSAGGIO DELLE MERCI CON AIR BAG

Un corretto fissaggio delle merci può avvenire tramite l’intervento sulla stabilità delle confezioni sul bancale attraverso l’ausilio di dispositivi che evitano lo scivolamento delle stesse: collanti, interfalde antiscivolo, angolari. Successivamente si deve intervenire sulla stabilità dell’intero carico nel container bloccandoli con l’ausilio di cinghie, barre o air bag (dunnage bags: cuscini fermacarico gonfiati con aria).

L’allegato 4 della circolare 1497 è ricco di dettagli su come bloccare i bancali anche con l’uso di air bag. Da tenere in considerazione il tipo più adatto di air bag per effettuare una procedura corretta.

Esistono air bag di varie forme e dimensioni, rivestiti con materiali differenti: carta, PE, PP (rafia) e appartenenti a varie classi di livello.

Tipo di airbagLivello 1Livello 2Livello 3Livello 4
Portata max 20 tons34 tons72 tons92 tons
Pressione max0,2 bar0,35 bar0,55 bar0,68 bar
Tipo di trasportoCamion Intermodale
Nave cargo
Camion Intermodale
Nave cargo
Treno NaveTreno Nave

La differenza enorme nella portata massima è sempre il massimo spazio che devono colmare, chiaramente, maggiore è lo spazio da colmare maggiore è lo stress che subiscono le saldature dei materiali alle estremità dell’air bag, quindi un air bag di livello 1 della misura di 100cm per 120cm gonfiato per colmare uno spazio di 10cm ha una portata di 10 tonnellate, il doppio di quanto avrebbe un air bag di livello superiore, della stessa misura, ma gonfiato fino a colmare uno spazio di 45 cm.

La scelta del corretto air bag è determinata da fattori quali: peso e altezza dei bancali, tipologia di carico, tragitto, schema di carico.

Ci sono fattori da considerare nel tragitto, per esempio se la merce parte dall’Italia con destinazione Bogotà, l’altitudine modificherà la pressione dell’aria all’interno dell’air bag aumentandone la pressione all’arrivo, quindi meglio non gonfiarlo troppo. Un viaggio tra Italia e Russia in condizioni di estremo freddo, invece, può comportare un abbassamento della pressione, quindi meglio gonfiarlo un po’ di più.

Un discorso a parte meritano i materiali che costituiscono l’air bag. La carta che apparentemente può sembrare meno resistente è, in realtà, più resistente sia del Polietilene che del Polipropilene in quanto gode di una maggiore elasticità quando si tratta di carta di fibra nobile e non riciclata. Speciali trattamenti, inoltre, rendono la carta resistente all’acqua e antiscivolo, caratteristica questa di cui sono privi gli ari bag in PE e PP. Una volta posizionato un air bag in carta, anche se gonfiato poco, risulta difficile riposizionarlo per via delle sue enormi qualità antiscivolo che gli impediscono di essere sfilato dall’alloggiamento in cui è stato inserito.

Punto debole dell’Air bag sono sempre le saldature o cuciture alle estremità, e la saldatura della valvola. Un buon sistema di applicazione della valvola e una buona valvola non consentiranno mai all’air bag di sgonfiarsi durante il lungo viaggio che dovrà compiere, così come una corretta chiusura delle estremità.

Da dei test condotti da alcuni produttori si evince che gli air bag in carta, realizzati secondo degli standard di eccellenza, resistono a pressioni molto superiori rispetto agli air bag in plastica in generale: PE e PP.

SISTEMI DI CONTROLLO DELL’UMIDITA’

Nell’allegato 3 della circolare 1497, si vanno a dettagliare i danni provocati dall’umidità presente del container che, una volta raggiunto il punto di rugiada, diventa acqua e si deposita in tutti quei catalizzatori presenti nel container generando problemi di corrosione, muffa, putrefazione, fermentazione, rottura degli imballaggi di cartone, perdite, macchie, reazioni chimiche inclusi auto riscaldamento, gassificazione e autoaccensione. Generalmente è il carico stesso ad avere una carica di umidità variabile generata da rinforzi in legno, pallet, imballaggi porosi e umidità introdotti dall’imballaggio della merce nel container durante la pioggia o la neve o l’imballaggio in condizioni atmosferiche di elevata umidità e alta temperatura. È quindi della massima importanza controllare il contenuto di umidità del carico da imballare, tenendo conto dei prevedibili impatti climatici del trasporto previsto.

Un piccolo esempio può essere d’aiuto: Caricare la metà esatta del volume di un container da 20’ in una giornata di pioggia estiva con 20° ed un’umidità del 90%, può portare a generare un quarto di litro di acqua che si deposita sulla merce quando la temperatura scende a 18° all’interno del container, ma se la temperatura dentro il container dovesse aumentare fino a 30°, si arriverebbe ad avere quasi mezzo litro di acqua. L’alternanza del ciclo giorno/notte, i cambi di temperatura e di emisfero durante tutto il tragitto della merce, portano a continui processi di condensazione.

Grazie ai sali essiccanti o sali disidratanti è possibile fare in modo che l’acqua nell’aria vanga intrappolata interrompendo il processo.

Esistono differenti materiali assorbenti per l’umidità in eccesso: argilla, silica gel, cloruro di calcio, cloruro di calcio e amido. La loro capacità di assorbimento è la seguente:

Argilla: 20 % circa
Silica gel: 25% circa
Cloruro di calcio: 150% circa
Cloruro di calcio e amido: 250% circa

Come si può notare dalla percentuale di assorbimento dei vari tipi di disseccanti, cloruro di calcio mischiato ad amido è il migliore catalizzatore dell’umidità presente nell’aria; una volta catturata l’umidità, grazie al cloruro di calcio, essa viene tramutata in gel dell’amido.

Silica gel e argilla sono materiali porosi che tendono a loro volta, in alcune condizioni, a rilasciare l’umidità intrappolata precedentemente.

Per concludere vi raccomando di non dimenticare di chiudere le bocchette dell’areazione del container per evitare che ulteriore umidità possa entrare dall’esterno.

cosa succede al vino durante il trasporto in container

Cosa succede al vino durante il trasporto in container?

Ormai è risaputo che l’export agroalimentare traina l’economia italiana da diversi anni, uno tra i settori più rilevanti è quello del vino, che, a dire il vero, è sempre stato il protagonista sul panorama mondiale; le aziende italiane hanno esportato la bellezza di 21,5 milioni di ettolitri di vino nel 2019 (fonte inumeridelvino.it).

Spedire vino all’estero non è sempre privo di imprevisti; il trasporto, soprattutto via mare e in special modo tra un emisfero e l’altro, oppure tra località miti e destinazioni molto calde o molto fredde, può causare danni irreversibili. Spesso può capitare che il danno sia palese sin dalla ricezione della merce con inevitabili contestazioni, altre volte il danno si può presentare all’apertura delle bottiglie con evidenti alterazioni organolettiche che ne pregiudicano il sapore.

Cosa succede esattamente durante il trasporto?

La temperatura esterna al container può variare in base a molti fattori: stagione, clima, alternanza giorno/notte. La temperatura interna del container può variare in base alla posizione sulla nave cargo, ma la temperatura nel container può variare anche al suo interno: in basso vicino al pavimento, in alto vicino al soffitto.

In base a questi fattori è stato dimostrato che la temperatura interna può essere anche di 30 gradi superiore a quella esterna e che, a causa dell’irraggiamento diretto di un container, la temperatura interna nella parte superiore dello stesso, può addirittura raggiungere i 75 gradi.

Nel caso in cui si è scampati ai rischi del trasporto, però, si può incappare in quelli dello stazionamento, altrettanto deleteri.

Che conseguenze ha tutto ciò sul vino?

Sottoporre il vino a temperature elevate porta necessariamente ad una “variazione negativa della qualità complessiva del vino, che non risulta più conforme alle attese dell’acquirente o del consumatore finale”, sottolinea la D.ssa Alessandra Biondi Bartolini Agronoma e Giornalista Freelance nel suo articolo pubblicato su Mille Vigne nel 2013, aggiungendo che “I vini sottoposti a temperature estreme per periodi più o meno prolungati, vanno incontro ad alterazione del loro profilo organolettico, dovute a variazioni delle loro caratteristiche fisiche e chimiche. Il vino e i gas contenuti nello spazio di testa vanno incontro a fenomeni di dilatazione e la confezione (bottiglia, tappo e capsula) è sottoposta a continue sollecitazioni fisiche. I fenomeni osservabili, oltre talvolta alla rottura delle bottiglie, sono la fuoriuscita parziale o totale dei tappi, il sollevamento delle capsule e la colatura del vino lungo le pareti del tappo. Le reazioni di invecchiamento, soprattutto quelle legate all’evoluzione ossidativa, subiscono una rapida accelerazione. L’anidride solforosa presente al momento dell’imbottigliamento viene rapidamente consumata e i vini si trovano privi di protezione anche a fronte di un maggiore ingresso di ossigeno dai tappi, sottoposti con il liquido ad un’alternanza di fasi di espansione e costrizione che determinano un richiamo di gas dall’esterno. La conseguenza più evidente di questo invecchiamento ossidativo accelerato è riscontrabile nella variazione di colore, con un aumento dell’intensità colorante nei vini bianchi e delle tonalità del rosso mattone nei vini rossi. Nelle condizioni peggiori, e qualora i vini non siano stati sottoposti a processi di stabilizzazione adeguati, l’esposizione alle temperature estreme può essere causa di una diminuzione del contenuto in anidride carbonica nei vini frizzanti o spumanti, in una rifermentazione in bottiglia o nella formazione di precipitati proteici o di tartrati nel caso delle basse temperature.

La soluzione a tutto questo?

Una soluzione esiste ed è alla portata di tutti, sia per coloro che esportano interi container che per coloro che spediscono in collettame: fodere termiche per container e coperte termiche per pallet.

Entrambe le soluzioni consentono di mantiene il carico ad una temperatura decisamente ideale rispetto a quella esterna proteggendo i sapori e le strutture chimiche del vino. Grazie all’utilizzo di un datalogger (dispositivo elettronico che tiene traccia, in tempo reale, della temperatura della merce durante il trasporto) è anche possibile verificare, all’arrivo della merce, a che temperatura è stata sottoposta, comprovando un corretto trasporto ed attribuendo eventuali responsabilità per danni ad essa arrecati.

Ringrazio la D.ssa Alessandra Biondi Bartolini per le interessanti informazioni che ha saputo trasmettere a tutti noi con il suo articolo. Vi invito alla lettura dell’articolo originale e di molte altre utili informazioni che potrete trovare sul sito della rivista Millevigne: https://www.millevigne.it

Disseccanti al alta efficienza

Cloruro di calcio e amido: la Formula1 dei sali essiccanti

In commercio esistono molte tipologie di sali essiccanti. Per sale essiccante o sale disidratante o disseccante che dir si voglia, si intende quel materiale le cui capacità igroscopiche consentono di assorbire l’umidità in eccesso all’interno di una confezione o un container.

Quelli più comuni sono la Silica Gel e l’argilla chiamata anche bentonite, questi due materiali sono tra i più economici, ma quando le condizioni ambientali mutano possono rilasciare l’umidità accumulata in un processo inverso non sempre benefico per le merci che dovrebbero preservare.

Vi sono invece alcuni elementi chimici che assorbono l’umidità cambiando stato da solido a liquido: Cloruro di calcio, solfato di calcio e ossido di calcio. Il loro funzionamento ricorda molto i deumidificatori di uso domestico il cui catalizzatore dell’umidità diventa liquido e viene raccolto in un’apposita vaschetta.

La domanda è: quale di questi svolge la sua funzione in maniera più efficiente?

A condizioni analoghe: 100gr di materiale a 25°C con cambi di stato di umidità relativa dal 10% fino al 100%, vi è un solo elemento in grado di assorbire fino al 250% del suo peso: il CLORURO DI CALCIO  E AMIDO. La sua capacità assorbente permette di avere, a fronte di 100gr di scaglie, al 100% di umidità relativa, la bellezza di 250gr di acqua.

Per una maggiore praticità d’uso e un rischio ridotto allo zero di versamenti di acqua, al cloruro di calcio viene aggiunta una certa quantità di amido, in questo modo, una volta tramutato in acqua, l’amido lo assorbe diventando un gel, proprio come i pannolini dei neonati.

Gli ambiti di applicazione dei sali disidratanti sono abbastanza variegati, si usano direttamente nel container o nelle confezioni per macchinari, elettronica, componenti automobilistici; merce di consumo, prodotti agricoli, sementi, cacao, caffè, tessuti e pelli, prodotti in legno, carta e cartone, vetro, plastica e metalli, mobili, indumenti, scarpe ecc ecc. In questo modo è possibile evitare danni alle merci come: muffe, alterazione organolettiche, alterazione degli involucri, delle confezioni, dei colori, ruggine e tutti gli altri danni derivanti da una lunga esposizione dei materiali all’umidità.

Per concludere si può considerare il cloruro di calcio (e amido) la Formula1 dei sali disidratanti.